Si è chiuso, lunedì 3 aprile, il ciclo di lezioni sul Neorealismo cinematografico, condotto dal prof. Stefano Socci, dal titolo “Treno popolare”. Nel corso di 7 incontri si sono ripercorse le varie fasi di sviluppo, affermazione e permanenza nella cinematografia successiva, del Neorealismo, al quale afferiscono registi che hanno lasciato un’eredità artistica ancora insuperata, tra cui Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Giuseppe De Santis.
Grande l’apprezzamento di tutti i partecipanti al corso, che sono intervenuti nel corso delle lezioni con domande e contributi personali. Alcuni di loro hanno lasciato un commento, come la direttrice editoriale Marta Ciulli, che ha scritto: “Gran belli incontri. Tema enorme, interessante e necessario, dell’inizio del nostro cinema. Le lezioni del prof. Socci sono state esplicative e delicate, con la competenza di chi sa ma deve parlare a chi sa meno di lui”.
Un’altra partecipante del corso, Giuseppina D’Urso, ha invece scritto una vera recensione su “Treno popolare”, addentrandosi nei contenuti trattati. “Personalmente” – scrive Giuseppina D’Urso – “non conoscevo se non a grandi linee il “Neorealismo” nel cinema italiano. Le lezioni mi hanno permesso di penetrare piuttosto a fondo in tale movimento: arco temporale, temi, caratteristiche peculiari dei film, analisi di particolari di singole scene degli stessi film che evidenziano i tratti di ogni singolo regista. Da Rossellini, a De Santis, a Vittorio De Sica, a Luchino Visconti, per arrivare agli epigoni di Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Fondamentalmente il “Neorealismo” tratteggia un’altra Italia fino all’inizio degli anni ’50, sforando con alcuni aspetti di “Accattone” di Pasolini al 1961. Non a caso l’inizio degli anni ’50 quando i modelli esistenziali cominciano a cambiare e Giulio Andreotti critica il “Neorealismo” perché darebbe un’immagine troppo “misera” (non è l’esatto termine) dell’Italia. Si tratta di uno stile documentaristico che fa spesso uso di attori dilettanti, anche se non in modo assoluto, come la presenza di Anna Magnani in “Roma città aperta” e in “Bellissima” testimonia. Ma anche laddove siano presenti divi mi sembra di rintracciare una linea di connessione che porta fino a Pasolini. La descrizione di un’Italia bellica e post bellica (uscita dalla lotta al nazifascismo) con tutti i suoi limiti che Pasolini dipinge anche come corruzione morale dovuta spesso alla povertà, diversa da quella corruzione consumistica, sempre come ne parla Pasolini, dell’Italia che dagli anni ’50 si muove verso il boom economico, facendo un po’ alla volta propri modelli in cui ricchezza, successo e bellezza diventano i miti americani e hollywodiani da raggiungere. Corrompendo l’umanità delle persone. Emblematico “Il bidone” di Fellini, in cui un truffatore che rincorre solo il denaro si pente dopo l’ennesima truffa portata indossando abiti religiosi (il massimo della truffa). E alla fine del film viene toccato dalla “grazia”. Bene e male si alternano un po’ dovunque, tanti fallimenti propri della fragilità umana, ma anche in qualche caso riscatto e ritrovamento di una dignità perduta come in “Bellissima”.